Garfield - Pooky
Mi sono trasferita da Bergamo a Trieste, lasciando la mia famiglia e la me-bambina. Purtroppo la me-combinaguai mi ha seguita e ogni tanto devo farci i conti e ammettere che è la parte di me che preferisco perché mi fa sempre parecchio ridere.

venerdì 27 novembre 2015

Giorno 19- La torcia

La torcia

Ebbene, ne ho combinata un'altra delle mie. Domenica scorsa siamo andati a visitare dei bunker a Opicina, cunicoli bui e umidi, in cui gli strumenti essenziali erano una torcia e scarpe adatte (che io non avevo, ovviamente). Demmy mi ha dato una delle sue torce, luce blu un po' debole, nulla di che, ma pur sempre una fonte luminosa adatta per non mettere i piedi in un punto sbagliato e capitombolare di faccia sulle pietruzze.  Lui invece, aveva una torcia che per me non aveva granché di speciale, sapete non me ne intendo di illuminazione, ma che per lui aveva un buon valore affettivo e, come ho scoperto ieri, economico. La gita procede bene, ogni tanto lui decanta quella torcia, dicendo che nonostante siano passati due anni ancora non si è scaricata "e guarda che luce, Alice!" e io facevo sì roteando gli occhi e puntando la mia misera torcetta verso il pavimento sconnesso. Finita la visita, decidiamo di andare a fare la spesa in Slovenia e ci carichiamo di quattro sacchetti, poi prendiamo l'auto, torniamo a casa e troviamo un bel parcheggio proprio dietro l'angolo, che fortuna! Quando arriviamo al portone, carica di due delle quattro sporte, mi accorgo di aver dimenticato la mia borsa in auto e quindi lascio la spesa e torno indietro. "Prendi anche la mia torcia, è nel vano della portiera" dice Demmy dietro di me. Insomma, arrivo alla macchina, recupero il dovuto e mi incammino verso casa pensando: "Chissà se Demmy ha fatto il cavaliere e ha portato su tutta la spesa o ha lasciato i sacchetti incustoditi", mi accorgo che proprio davanti alla porta ci sono due sportine e penso: "Che cafone, me le ha lasciate qui! Va bene, organizziamoci, questa la metto qui, la borsa la metto a tracolla e....un momento, io non ho preso un broccolo...e nemmeno la pasta." Rovisto in modo delicato in uno dei due sacchetti e mi accorgo con grande imbarazzo che sto facendo la gatta randagia e sto toccando cose non mie, quindi faccio una risatina guardandomi intorno e salgo le scale, decisa a raccontare la figuraccia a Demmy appena salita in casa e  manifestare il mio sollievo per non essermi accorta troppo tardi dell'errore. Tutto finisce, tra una risata e qualche presa in giro. 
Anzi...non proprio TUTTO finisce... ieri (cioè giovedì, ben quattro giorni dopo),  Demmy arriva, chiedendomi dove avessi messo la sua torcia. Io gli dico che l'avevo data a lui, perché così sarebbero dovute andare le cose, ma lui afferma che proprio non è successo. Io insisto che la torcia non è rimasta in auto, che non sono deficiente, mi ricordo che ce l'avevo in mano, perché avevo fatto un'analisi tattile, sentendo la consistenza, la temperatura ecc mentre camminavo verso casa. Si bisticcia, ma non troppo e io torno a letto, continuando a pensare alla torcia e iniziando a credere di essermi sbagliata e di avere solamente immaginato quelle sensazioni. Poi, un lampo mi attraversa la mente....il mondo si fa cupo...chiamo Demmy tutta tremante, coperta fin sotto agli occhi lo guardo e gli dico: "Sai, se non è in auto, la torcia...credo di sapere dove l'ho messa..."  "Noooo, sul tettuccio della macchina?", "Ehm....no. No, cici...." a questo punto mi appiattisco e la mia voce spaventata diventa un sibilo:"L'ho messa... nel sacchetto della vicina..." ZANZANZAAAAM. Ora vi spiego, io l'ho messo nella sporta quando ero convinta che fosse nostra e visto che dovevo portarne su due per tre piani, avevo convenuto che fosse meglio mettere la torcia al sicuro, dentro al sacchetto, piuttosto che in tasca, perché rischiava di cadermi e rompersi. Quando però ho notato l'errore, la torcia l'ho rimossa della mente, quindi oltre che lasciare la spesa giù al portone, ho lasciato pure lei. Il problema ora è che non so di chi fosse quella spesa e nemmeno se è arrivata al legittimo proprietario o non se la sono fregata mentre era lì fuori. Non ci credo, è successo. Non so come, ma l'ho fatto e mi sento tanto tanto in colpa. Io comunque sono convinta che se chiediamo a tutti i vicini prima o poi la ritroviamo. Demmy non si è arrabbiato, ma due cose mi hanno fatto capire che l'ho profondamente traumatizzato: 
la prima: subito dopo avergli raccontato il destino della sua torcia, ha preso in mano i pesi e si è messo a sollevarli, guardandomi fisso e ascoltando le mie scuse.
La seconda: per tutta notte ha riempito la stanza di candele accese, come se volesse ricordare con una fiaccolata la sua adorata compagna di avventure; io non potevo lamentarmi, l'ho lasciato fare, perché doveva interiorizzare il dolore.
 Ora però ripensando a tutto il pasticcio rido e penso che quando sarò vecchia sarà un bel problema starmi vicino, anzi, mi sa che il problema si pone già ora. Che seccatura essere me. 
PS. Demmy a un certo punto mi è sembrato un po' Jack Sparrow quando punta la pistola con un solo colpo in canna verso Elizabeth che aveva bruciato tutto il rum sull'isola e poi la rimette nella fondina!
 



mercoledì 25 novembre 2015

Giorno 18- Il serial ringer, ovvero tiritiri

Il serial ringer, ovvero tiritiri

Aaaah, fine novembre, giorni gioiosi, in cui io mi rintano in casa a preparare torte e biscotti, allenandomi a fare le scale su fastidiose canzoncine di Natale, che  canterò per tutto dicembre: sono un calendario dell'avvento ambulante in questo periodo!
Dovete sapere, prima di arrivare al dunque, che uno dei tanti, ma fino ad oggi ignorati difetti della nostra nuova casetta di Trieste, è il fatto che il nostro campanello giù al portone non funziona. O meglio: se pigi vicino al nostro nome non succederà assolutamente nulla, ma se decidi di suonare ai vicini del piano di sotto (non la signora P., per fortuna, altrimenti sentirei mille volte al giorno quel dannato campanello) ecco che il tiritiri parte sia nel loro appartamento che nel nostro. Eh perché non è un delizioso dlin dlon, quello che si sente, ma un fastidioso tiritiri a tutto volume. Insomma, noi  lo sentiamo il campanello, ma non quando vengono a trovarci i nostri amici, bensì gli amici degli altri. Oggi stavo appunto facendo beatamente la mia routine della preparazione di una torta: farina ovunque (anche in faccia), Nutella ovunque (anche in bocca!!), formine raffiguranti alberelli, cuoricini e omini di marzapane in giro per la cucina. A un tratto...tiritiri, il campanello, qualche amico dei vicini è passato per un saluto...tritiritiritiritiritiritiri....mah, non vorrei essere critica, ma credo non ci sia nessuno in ca...tiritiritiritiritiriiiiiiiii. Ma questo è scemo o cosa? Con tutta la mia pazienza guardo Cora a cui esce un ringhio sommesso dal petto, per il motivo che già vi ho citato in un post precedente: quando suona il campanello deve abbaiare, ma siccome sa che non succederà nulla con questo suono, si limita a rognare a denti stretti. Tiritiri....il serial ringer non demorde; adesso vado giù e gliene canto quattro se non la smette di suonare, anzi, gliele suono!! Tiritiri, cerco di ignorare l'accanimento caparbio sul campanello e di continuare a svolgere le mie azioni nel preparare i biscotti, già di per sé disastrose, finché all'ennesimo tiritiri, non mi parte una svirgolata di Nutella sulla teglia ed è qui che perdo ogni speranza di restare calma: sembro Paperino quando perde la pazienza, divento rossa, stringo i pugni e mi esce del fumo dalle orecchie e il conseguente fischio, come nelle vecchie teiere.
Immagine presa dal web
Basta, ora è troppo, è dieci minuti buoni che sta suonando, sei forse svenuto sopra al campanello, razza di individuo orrendo quale sei?!
tiritiri...scendo... mi accorgo di essere in pigiamino rosa e ciabatte ortopediche...risalgo....mi vesto....tiritiri...riscendo, anzi mi catapulto giù per le scale, con la nuvola nera e i fulmini sopra la testa, arrivo al portone, lo apro e mi si para davanti un ragazzo, poco più alto di me,  con occhiali a girella da hipster e un cappellino buffissimo rosso con un pompon verde calcato sopra la testa. Esordisco con: "Scusa, posso sapere che problemi hai? Se non ti rispondono, vuol dire che non c'è nessuno a casa" e lui dice: "Sì, ma io citofonavo ai miei amici", giustamente mi rendo conto che non tutti possono sapere che suona il campanello anche a me, quindi mi calmo e gli spiego la faccenda; lui con un visetto sconsolato dice che sa che il suo amico è in casa e probabilmente sta dormendo, perché gli aveva dato appuntamento a quell'ora. Io mi impietosisco e gli dico di salire ed attaccarsi al citofono interno, con la speranza che prima o poi qualcuno gli apra. Mentre salgo le scale con lui vicino, cala l'imbarazzo per aver sbottato (anche se in modo soft),  lui fortunatamente percepisce il mio disagio e dice: "Quindi....ho rotto i coglioni anche a te..." e io in tono sarcastico ma vellutato affermo: "Eh, e pensa che però non sei riuscito a romperli al tuo amico che dorme ancora." Mi viene da ridere, mi giro e il serial ringer ha un volto impassibile, né incavolato, né divertito, forse confuso. Arriviamo alla porta dell'appartamento incriminato e io gli auguro buona fortuna, continuando la mia scalata verso casa (sembra che abiti sul monte Tabor se dico così!), poi, senza fermarmi lo guardo di sottecchi e lo vedo che allunga l'indice, fermandolo a tanto così dal pulsante del campanello, scuote la testa e inizia a bussare come un forsennato. Io me ne vado divertita, perché è la prima volta che sclero con qualcuno che non conosco dopo chissà quanti anni e nonostante non sia stata crudele nei modi, sono riuscita a intimidire qualcuno! Cosa hai imparato oggi? Il sarcasmo è l'arma giusta per far valere la tua opinione senza offendere nessuno. Ottimo lavoro, Alice!

martedì 17 novembre 2015

Giorno 17- Il labirinto universitario

Il labirinto universitario

Mi viene un po' difficile da spiegare quello che è successo oggi, di solito sono cose decisamente divertenti le mie avventure e probabilmente al lettore può sembrare divertente anche questo post in cui racconto il mio pomeriggio passato nella nuova università a Trieste. Sì, in effetti un po' fa ridere questa mia giornata, ma capitemi, ho la sindrome premestruale che, parafrasando malamente Baudelaire, pesa come un coperchio sulla mia testa e per questo motivo ogni cosa imbarazzante viene potenziata per 10 in questo periodo, come quando Super Mario prendeva il funghetto che lo faceva diventare grosso grosso.
Cominciamo dall'inizio, da quando decido di andare in università, compro il biglietto per il bus, mi siedo, prenoto la fermata e ops, è la fermata sbagliata, salame, dovevi scendere alla prossima. Già si potevano intravedere i presagi di sfortuna e soprattutto del mio nervosismo quando sono scesa comunque alla fermata del bus sbagliata e ho continuato a camminare, invece di tornare sull'autobus e scendere  alla successiva. Non ho idea del perché abbia agito in quel modo, l'ho fatto e basta. Non importa, tanto sono qualche passo in più. Arrivo alla sede, entro nell'aula e mi siedo e una professoressa alla cattedra a cui sorrido amabilmente mi guarda stupita, come se avessi in faccia un pannolino sporco o mi fossero cresciuti i baffi durante il tragitto da casa all'università. Solo all'inizio della lezione dopo comprendo che qui non funziona come a Bergamo, che entri in aula ti siedi e aspetti; eh no, devi aspettare in piedi, fuori dall'aula che arrivi il professore e che ti dia il permesso di entrare. Naturalmente quella non era la professoressa della mia lezione e quindi nessuno mi dava il diritto di stare lì dentro, da sola, insieme a lei con il mio astuccio con gli orsetti e gli occhioni spaesati. Comunque inizia la lezione: è un seminario, dove degli studenti spiegano uno studio su un argomento di un libro che hanno letto. Ora, per comprendere completamente quello che sta accadendo, dobbiamo tornare indietro di qualche ora e arrivare a stamattina, quando attivo il comando vocale al mio nuovo, fiammante cellulare ultratecnologico: quando dici ad alta voce "Ok, Emy" il cellulare si aspetta un comando, che può essere di chiamata o di ritrovamento (se lo perdi parte una musichetta che canticchia, "sono quiiiiii"), ma se il comando non arriva correttamente, questa fantomatica (e anche un po' baldracca, scusatemi il francesismo) Emy, ti dice a tutto volume che non ha capito e di ripetere il comando scandendo le parole. Adesso saltiamo alla lezione... ovviamente la ragazza seduta alla cattedra parla con voce tremolante ma con timbro alto, per farsi sentire bene da tutti (eravamo al massimo 10, queste classi ristrette non le apprezzo) e sento una vocina dalla mia borsa...oddio un Poltergeist, penso immediatamente, non abituata ai cellulari parlanti, ma poi ci penso su e capisco che è Emy, che sta disturbando me e un intero pubblico. Cerco di spegnere il cellulare, ma non faccio in tempo a toglierlo dalla borsa che inizia a gridare di ripetere...scoppio di risa, io alzo la manina dicendo: "Colpa mia, scusate, il mio telefono parla da solo, scusatemi non volevo interrompere" faccia color peperone, voglia di sotterrarmi sotto un cumulo di pietre. Andiamo avanti e la presentazione della studentessa seguente non è alquanto brillante. Io decido di intervenire durante la discussione. Alzo la mano, tutti si girano e io sento una fiammata che parte dalle orecchie e mi arriva alle guance, il mio unico pensiero era "Oh per l'amor del cielo, Alice, riprendi un colore naturale, ti prego, sembri una di quelle lucine che regalano in discoteca", ma niente e come se non bastasse spostare l'attenzione tutta sul proprio viso che brucia lentamente la distoglie dal discorso e quindi inizio a tremolare e la prima cosa che mi esce di bocca è: "Meeeh" Meeeh??? Cioè, hai fatto un verso simile a quello delle capre? Grandioso Alice, tu sì che sei brillante. Cerco di recuperare, ma proprio non riesco, dico quattro parole tutte senza senso e quando finisco cala un silenzio imbarazzante e la professoressa afferma, in modo velato, che sono decisamente andata fuori tema. Oddio, è la fine, altro che cumulo di pietre, andrebbe bene anche il letame, basta che nascondete il mio viso paonazzo. La lezione finisce e io schizzo fuori, mi chiudo in bagno e accendo nuovamente il cellulare con la seria intenzione di ammazzare Emy e poi eliminare il comando vocale, ma con mia sorpresa mi viene richiesto un pin, che io ovviamente non conosco e che è segnato sulla scatolina appoggiata al comodino nella mia stanza da letto. Bene....imbarazzata e sola...ottimo, quale è la prossima lezione? Semi incerta se andare o no alla lezione successiva, mi accingo a salire quattro piani e faccio un gioco col destino: se trovo l'aula, vado, se non la trovo, torno a casa. L'aula? L'ho trovata, ma palesemente non era quella in cui si sarebbe svolta lezione, perché era un locale caldaia, quindi mi capicollo giù dalle scale, ma con mia immensa frustrazione non riesco....a trovare la porta per uscire dalla rampa di scale!! So che può sembrare stupido, ma ogni porta aveva la scritta "Usare solo in caso di emergenza",  mi sembra ovvio che non le apri quelle, no? Poi l'unica che ho provato ad aprire era chiusa a chiave. Ok bene, torno su, ho perso col destino. Dopo aver tentato disperatamente e senza successo di scappare nuovamente, ma da un'altra rampa di scale, trovo un gruppo di studenti e fortunatamente anche loro aspettavano la lezione di letteratura inglese, quindi decido che il meno peggio è partecipare alla lezione e aspettare che se ne vadano per seguirli e farmi condurre all'uscita. Sebbene sia stata noiosissima, a questa lezione non è successo niente di imbarazzante, la prof mi ha solo fatta presentare facendo ciaociao, perché tra un mucchio di studenti che non ti servono nemmeno le dita dei piedi, ma solo quelle delle mani per contarli tutti, lo riconosci un volto nuovo. Ho passato tutta la lezione seduta e tesa come se avessi spine nei fianchi o come se avessi una scoreggia che è lì lì per uscire e vuoi trattenerla (ci mancavano solo le scoregge!!), insomma appena finisce la lezione, cerco di attuare il mio piano e seguo guardinga le studentesse che decidono di prendere in massa l'ascensore. So cosa sarebbe capitato, si sarebbero schiacciate tutte come sardine e io non ci sarei stata e avrei dovuto aspettare un altro ascensore. Beh sapete che vi dico? Vado a fare pipì e  quando ho finito me la trovo da sola, l'uscita...stavolta però prendendo l'ascensore, eh, se le scale ti fregano e non vuoi buttarti dalla balaustra interna per raggiungere l'uscita che vedi perfettamente quattro piani sotto di te, allora l'ascensore è l'alternativa migliore! (e forse l'unica, aggiungerei). Arrivo al piano terra e trovo la solita porta che recita la tiritera sull'emergenza, io sconsolata salgo ancora di un piano, magari questo è il sotterraneo, però poi (angeli celestiali che cantano) una creatura illuminata da un fascio di luce scende uno a uno gli scalini con fare leggiadro e io la seguo, perché sento con tutte le mie forze che quella ragazza vuole andare a fumarsi una sigaretta. Evvai, aprila tu, la porta d'emergen...ah, ma quella non è una porta d'emergenza, c'è solo scritto che lo è. Quindi è sempre stata questa l'uscita dalla rampa di scale per raggiungere il piano terra....bene. Brava.
Torno a casa, momentaneamente senza cellulare, sconsolata, come un pesce fuor d'acqua e mi accorgo che mi basta allontanarmi di soli 200 metri da quell'edificio labirintico e infernale per sentirmi finalmente e di nuovo a casa. Paradossale, ma vero. Mi sentivo a casa fuori da un edificio.
Cosa ho imparato oggi: La vita non va mai come te la aspetti, molte volte va anche meglio, ma ogni tanto capita che vada peggio, ma anche questa è la vita, domani vedrai che ti aspetterai una catastrofe e invece andrà tutto bene. Non abbatterti per queste cavolate, pesciolino, la boccia non è più quella a cui sei abituato, ma ciò non vuol dire che hai dimenticato come si nuota.

giovedì 5 novembre 2015

Giorno 16- 5 cose di cui un laureando (non) sa di aver bisogno

5 cose di cui un laureando (non) sa di aver bisogno

Siccome fra 4 giorni solamente finalmente prenderò la mia prima laurea triennale, oggi vorrei fare un elenco fuori dall'ordinario per tutti i laureandi che devono scrivere una prova finale (per intenderci la tesi della laurea triennale) o la più corposa tesi magistrale. Intendiamoci, ho detto fuori dall'ordinario: questo post non spiegherà alcuna norma redazionale né tantomeno darà consigli pratici per la tesi, ma solo piccoli accorgimenti che aiuteranno a non uscire di melone in questo lungo ed estenuante percorso. Iniziamo, quello che occorre a un laureando che ha tutte le intenzioni di mantenere la propria sanità mentale è:
  1. Una cartellina con linguette personalizzabili. Questo è un tip datomi dal libro Come si fa una tesi di laurea del grandissimo e saggissimo Umberto Eco (si vede che insieme all'imponente Stephen King, Eco è il mio scrittore preferito?!). La cartellina, io preferirei che fosse colorata perché mi attiva la concentrazione, è utilissima per inserire  gli appunti presi nei libri della bibliografia che vi servirà a scrivere una prova finale decente. Essa prende ancora più importanza quando la maggior parte dei libri sono stati presi in biblioteca e non possono essere pasticciati. In ogni sezione della cartellina, puoi inserire tutto quello che c'è di importante da sapere, comprese citazioni e note bibliografiche. Senza quella cartellina verde evidenziatore io non so proprio come avrei fatto, probabilmente avrei scritto tutto su un quaderno, in cui probabilmente avrei fatto disegnini di caprette e cuoricini, distraendomi, e sarebbe stata una mossa alquanto sciocca, perché poi ogni volta sarei dovuta andare a recuperare quello che mi serviva, tra capre e cuoricini, sfogliando migliaia di pagine, ma grazie alla mia cartellina truuuuc, potevo girare tra i miei appunti in modo veloce e senza perdere il filo del discorso. Ecco, ovviamente devi tenerla assolutamente ordinata e cacciare ogni foglio al suo posto, altrimenti il trucco magico non funziona.
  2. Tè/caffè.   Questo item non manca praticamente mai nel kit di nessuno studente medio, già dal primo esame che si deve dare, ma fidati, è bene che aumenti le scorte durante la stesura della tua tesi. Io, ad esempio, mi sono data alla teina, perché il sapore del caffè non mi fa impazzire e ho messo nella mia cassettina di legno almeno una decina di tipi diversi tra tè e infusi vari, in modo da assumere energia senza annoiarmi del solito sapore al limone. Consiglio per la prima parte della stesura dei tè verdi o neri, mentre nell'ultimo periodo, quello più stressante, infusi privi di teina, magari dagli aromi rilassanti, come camomilla (che a me non piace) o melissa ecc.  Ora mi chiederai: allora a che cavolo serve bere un infuso  senza teina mentre lavori sulla tua prova? Semplice: mai visti gli scrittori in carriera, quelli che buttano giù centinaia di migliaia di parole al giorno e sputano un paio di romanzi fatti come si deve all'anno? Loro hanno sempre una tazza fumante di "qualcosa" vicino alla tastiera. Non vuoi sentirti anche tu scrittore per qualche mese? Poi magari ci prendi gusto...<<è sera. L'agente Pulcetti guarda l'orologio con impazienza, chiedendosi quando sarebbe arrivato quel maledetto camion che sta cercando di rintracciare da una settimana. Fa freddo e le dita dei piedi si sono tutte indolenzite: "Come vorrei essere a casa a scolarmi un dannato scotch sul divano", pensa il buon vecchio Pulcetti...>> (leggilo con voce misteriosa). Pensi che sarebbe uscita lo stesso di effetto questa frase senza che sorseggiassi un buon infuso bollente mentre la scrivevo? Proprio no, caro mio
  3. Open office. Ora passiamo a una cosa molto più utile da sapere per terminare il lavoro. Tutti pensano che il programma migliore per scrivere un documento di testo sia Word, ma io sono del parere che Word non è niente, paragonato a Open Office. Mi spiego meglio: i due programmi possono risultare quasi identici, finché si scrivono cose semplici e che non devono essere curate alla perfezione. Ma quando un relatore ti tartassa di mail e praticamente ti fa capire che la tua tesi è impaginata talmente male che lui la utilizzerebbe solo per incartarci fish and chips agli angoli della strada, allora ti accorgi di quanto questi due programmi siano differenti: Word a prima vista sembra più semplice da utilizzare per quanto riguarda le opzioni di impaginazione, ma se usi Office noterai che il lavoro sembra meno stressante e in un qualche modo più pulito; non so come spiegarlo diversamente se non che Word è come una sirena: ti ammalia col suo canto, tu lo segui fino alle profondità degli abissi (cioè fino al punto ad esempio in cui devi inserire le note a piè di pagina) e poi quando tocchi il fondo ti frega ...e tu affoghi. Office invece è come il nonno di Heidi: è difficile da gestire all'inizio, ma poi quando devi andare a Francoforte (cioè al centro stampa, a consegnare il tuo documento finito) non vorresti più lasciarlo. Ci siamo intesi? Spero di sì, USA OFFICE!
  4. Un timer. Ora che la tua prova è terminata, ricontrollata e stampata devi solo studiartela e cercare di ripeterla nel minor tempo possibile, in modo da non risultare pesante e far addormentare la commissione. Per una prova finale triennale, il tempo medio di una presentazione fatta come si deve è di 7 minuti. Tu dattene 8, procurati un timer e inizia a parlare con i muri, con le sedie, coi peluche o con l'elemento che spiegherò al punto 5. All'inizio dirai tantissimi "Ehm...." e "Oooooh", o allungherai le vocali finaliiiii come stooo facendo oraaa, per tergiversare e riordinare i pensieri, finché il timer non suonerà e tu sarai ancora lì a spiegare la prima frase; ma poi, dopo un momento di sconforto, prenderai in mano la situazione, ti scriverai una bella presentazione a diapositive (con Office, ovviamente!) e poi inizierai a fare meno "Ehm...." e "Ooooh", finché non giungerai al punto in cui sarai un oratore impeccabile. Almeno lo spero, sai, devo confessarti che non ho ancora raggiunto il livello ultimo, io sono alla presentazione in diapositive con qualche "Ehm..."! Comunque, non importa che tipo di timer userai, va bene anche quello da cucina, o quello incorporato nel forno ecc. Io il mio da cucina non posso usarlo, perché quando suona, Cora lo scambia per il campanello e inizia ad abbaiare. Ecco, volendo puoi programmare anche il tuo cane, vedi tu.
  5. Spettatori interessati. Quando presenti, è bello che almeno per un paio di volte ci sia ad assistere uno spettatore presente, interessato a quello che dici o, almeno, alla buona riuscita del tuo discorso. Più lo spettatore è interessato e più sarà facile che la prima volta che ti ascolta ti dica che hai fatto pena: ti sudavano le mani, perdevi bava verdastra e balbettavi. Ascolta sempre i suoi consigli, non lo contraddire, altrimenti poi perderà interesse e non ti ascolterà più. è facile capire quando qualcuno non ti segue, perché, non si sa come, riesci a vedere la scimmietta che batte  i piatti nella sua testa. Non te la prendere col tuo spettatore, forse sei tu che sei noioso: cambia modo di presentare (nei limiti della decenza, non sto dicendo di parlare nudo, alla laurea non ti aiuterebbe questo espediente). 
Bene dopo questi 5 insoliti (e per alcuni inutili) item nel tuo kit da buon laureando, vedi di ricominciare a lavorare e finire (o cominciare?) questa benedetta tesi!

martedì 3 novembre 2015

Giorno 15- La Padania in lavatrice

La Padania in lavatrice

Una delle cose più difficili da imparare per chi vive da solo è fare la lavatrice: il bucato è, a mio parere, la seconda cosa più impossibile da ricordare e da imparare, ci vogliono anni di esperienza e di capi stinti e ritinti per avere un bucato fatto come si deve. La prima cosa più difficile da imparare da quando sono a Trieste? Stirare. Non che mi ci applichi particolarmente, ho provato solo una volta per necessità a stirare una camicia per il lavoro e mi ha ritrovata Demmy seduta in un angolo che piangevo abbracciata al ferro, mentre la camicia era lì, ancora stropicciata come appena uscita dalla lavatrice. A parte gli scherzi (che tanto scherzi non sono, dal momento che me l'ha dovuta davvero stirare lui quella dannata camicia), da pochissime settimane ho deciso di imparare a fare la lavatrice. Con tanta pazienza Demmy si mette dietro di me, io sono davanti a una lavatrice, questa sconosciuta. Eravamo un sandwich in cui l'apparecchio del demonio e Demmy erano le fette di pane e io il prosciutto....mmmm prosciuttoooo...Ricomponiamoci. Insomma si comincia: ok, separo i bianchi dai colorati, poi? Ah sì, ammorbidente; quanto ne metto, così? Ok, no direi che ne ho messo troppo ne è strabordato un po' fuori, tranquillo dopo pulisco io. Bene, poi detersivo, lo metto qui? Ecco qui. Ora giro le manopole. 2 a destra, 4 a sinistra e 3 a destra, come le casseforti. No dai, scherzo, ho capito è facile fare la lavatrice! Disse l'ignara Alice.......
Ora facciamo un salto temporale e arriviamo a venerdì scorso: indosso la mia nuova felpa verde, una di quelle che puoi trovare nei negozietti etnici; una di quelle che hanno il cappuccio a punta; una delle tante che ho già avuto; una di quelle che avrei dovuto sapere che si lavano a mano! Ora, preparo i biscotti per Halloween con addosso quella felpa e un grembiule che (come si sa) è smanicato, di conseguenza copre sì il busto, ma le maniche non sono protette da schizzi di uova, latte e altri prodotti alimentari. Poi un po' è anche colpa mia: quando decido di preparare dolci, nella cucina si scatena il putiferio; pensate che l'ultima volta che ho preparato una torta ho persino trovato della farina sulla schiena del cane che, poverina, era tranquillamente sdraiata sonnecchiante sotto al tavolo. Come sia arrivata fino a lì della farina visto che non stavo proprio lavorando sul tavolo io non lo so, ma facciamo finta di nulla. Comunque avrete capito che mi sporco di impasto per biscotti la manica, poi per la fretta cerco di riempire un pentolino d'acqua e come se non bastasse mi bagno l'orlo della felpa, quindi bene è arrivato il momento di lavarla per la prima volta. La caccio nel cesto della roba da lavare e tutto finisce, almeno così credevo. I biscotti per la cronaca sono usciti molto buoni! Insomma, ieri è giunta l'ora fatidica di mettere in lavatrice la felpa, insieme ad altri capi colorati: qualche maglietta nera, dei calzini con le dita bianchi a strisce colorate (adoro i calzini con le dita, non giudicatemi) e un paio di jeans sfilacciati di Demmy. Programmo tutto alla perfezione e fortunatamente ho lasciato l'acchiappacolore che solitamente usiamo per le divise di Demmy che hanno il colletto rosso che si teme sempre che scolorisca. Qualche ora dopo mi presento col cestello dei panni pronta per stendere e lì, il disastro: apro lo sportello, noto la tragedia e nella mia mente parte il Va Pensiero, l'inno padano, in tutta la sua gloria: guardo i miei calzini ("Vaaaaa pensieeeeroooo), sono diventati verdi a righe colorate (sull'aaaaaliiii doraaaaaateeee), i fili rock dei jeans (vaaaaa, si pooooosa sui cliiiiivi) verde evidenziatore (sui cooooolliiii), l'acchiappacolore (ooooveeee oleeeeezzaaaano) è una fascetta color oliva (tieeeeeepiiidi e moooolliiii"). La disperazione!
L'acchiappacolore padano
Tutto era diventato verde Padania, ora sembrerò patriottica perché qui a Trieste ho portato un po' di pianura lombarda tra i miei vestiti, ma non è stato intenzionale, ve l'assicuro, io amo il verde ma avrei preferito che tutto rimanesse del suo colore originale. Non so se prenderla come una lezione o come una sfida da parte di quella maledetta felpa. Io so solo cari amici che se andate a vestirvi in modo equo solidale, poi dovrete usare equo solidalmente le vostre manine belle per lavare i vostri vestiti equo solidali, ovviamente con saponi naturali ed equo solidali, perché voi tenete all'ambiente. Poi sono convinta che la Padania in lavatrice voi proprio non la vorrete, perché di solito i leghisti non sono equo solidali, a meno che non sia merce di un botteghino di Solza.
Va là, vi lascio col Va Pensiero, senza alcun rimando politico, solo perché effettivamente il signor Verdi (Verdi Padania come la mia lavatrice!!) ha fatto un buonissimo lavoro e vi saluto al prossimo disastroso, confusionario post.