Garfield - Pooky
Mi sono trasferita da Bergamo a Trieste, lasciando la mia famiglia e la me-bambina. Purtroppo la me-combinaguai mi ha seguita e ogni tanto devo farci i conti e ammettere che è la parte di me che preferisco perché mi fa sempre parecchio ridere.

venerdì 17 giugno 2016

Giorno 34- Izzy

Izzy

Entrò in casa e si scrollò la pioggia di dosso. Non amava quel tempo uggioso, la faceva sentire triste, vecchia, più stanca. Si sedette al suo solito posto, vicino alla finestra. Le piaceva stare lì: vedeva passare la gente, là oltre quel vetro tempestato di aloni e immaginava le loro vite, chissà magari lente e solitarie, proprio come la sua.
Si stiracchiò un poco; quel maledetto autunno le entrava nelle ossa, il freddo le bloccava la schiena. Eppure anagraficamente non era così vecchia quanto il suo umore di quel periodo la faceva sentire. Certo, non riusciva più a correre senza sosta per un giorno intero e la sera avere ancora energia, ma non era ancora il momento di poltrire sul divano da mattina a sera.
Quando si sedeva su quella sedia che le dava una perfetta visuale dell'esterno si sentiva più viva. Talvolta si chiedeva cosa avesse fatto nella vita; avrebbe lasciato la sua impronta in questo mondo? Faceva spesso quei viaggi interiori e finivano sempre con la stessa frase: "Ma sì, Izzy, c'è ancora tempo". Quella volta accadde qualcosa di diverso. Decise di prendere in mano la sua vita, di fare le cose che prima non avrebbe mai fatto. Forse in ogni caso non avrebbe lasciato un segno tangibile della sua presenza ai posteri, ma avrebbe vissuto la più straordinaria delle vite, questo era sicuro.
Una volta aveva sentito dire da uno dei tanti intellettuali occhialuti che Elena (la sua coinquilina) invitava per un drink (cosa mai ci trovava in quegli individui), che il miglior modo per essere felici è affrontare e vincere le proprie paure. Non doveva pensare molto alla cosa che temeva di più in assoluto: tuffarsi. Quando era molto piccola, in un pomeriggio d'estate appiccicosa, qualcuno (forse zio Joe) l'aveva buttata in un canale piuttosto profondo, così, senza preavviso e lei tutta piccola e indifesa si era dovuta barcamenare non poco per riguadagnare la terraferma. Sì, quello la terrorizzava.
Ma chissà, forse quel pomposo topo di biblioteca che le aveva persino fregato il suo abituale posto sul divano intendeva qualcosa di più profondo,  forse non era l'affrontare la paura dell'azione, ma dell'inazione: le paure più recondite, quelle che ti attanagliano la notte e non ti fanno dormire. Lei non dormiva molto di notte da anni. Le piaceva girare per casa, bere del latte, osservare quelle luci alte in cielo, le stelle, ed ascoltare; si sentono i rumori più curiosi la notte: auto che sfrecciano, cani che latrano, lo sciacquone dei vicini, per non parlare del loro neonato marmocchio, che piangeva in continuazione. Non le piacevano affatto i bambini: creature troppo goffe e allegre per la sua anima oscura. Non era cattiva, non lei. Diciamo che non era il tipo da relazioni sociali stabili. Eccolo lì il problema...non aveva amici, non si faceva avvicinare da nessuno, ogni volta che qualcuno tendeva la mano verso di lei, si ritraeva con una espressione svogliata. Non voleva aiuto da nessuno, lei. Anche sua madre, che l'aveva lasciata troppo presto, intuiva il suo malessere e la spronava ad essere più gentile. A che serviva, la gentilezza?
Ma ora....ora che aveva raggiunto la piena maturità e che sentiva, anche se in lontananza, i sospiri della vecchiaia, aveva un vuoto dentro di sé: "Non ho mai espresso i miei sentimenti- pensava- non ho mai fatto capire a Elena, la mia unica famiglia, quanto la amo e quanto le sono grata, perché si prende cura di me sempre, anche quando faccio l'antipatica". Doveva agire, prima che fosse troppo tardi. Sentì la chiave girare nella toppa. Era Elena, era tornata presto quel giorno. Si rizzò di scatto e balzò tra le braccia della sua umana, miagolando sommessamente. "Non è così male, in fondo", pensò mentre premeva il nasino contro la spalla della padrona, che le accarezzava il pelo, morbido e fulvo, come quello di un tigrotto senza strisce. Sì, aveva deciso: avrebbe vissuto la migliore delle vite, forse una delle nove che si crede che i gatti abbiano, ma sicuramente la più bella.

domenica 12 giugno 2016

Giorno 33- Un universo di lingue

Un universo di lingue

Martedì ho dato il mio primo esame all'università nuova, quella di Trieste. Era un esame relativamente piccolo da soli 6 crediti di filologia romanza (materia che tra l'altro mi piace molto) che io, dall'entusiasmo, ho iniziato a studiare due mesi prima. 
Valeva tanto per me, quell'esame, non tanto per la media o per che altro, ma perché era il primo esame che sostenevo mentre lavoravo 8 ore al giorno quasi tutti i giorni e avevo paura di fallire e di confermare la teoria un po' cliché che se lavori non hai troppo tempo per studiare. 

Sabato: tre giorni all'ora x

Inizia sabato ad arrivarmi l'angoscia, continuo a pensare all'esame e ogni impegno che ho lo rapporto a quella data; un esempio: venerdì prossimo mi scade il libro in biblioteca, devo riconsegnarlo, dài che quel giorno l'esame sarà passato. Vado per la seconda volta a  recuperare i libri già studiati in biblioteca, per non arrivare a mani vuote davanti al prof e con mia sorpresa nessuno li aveva prenotati a parte me. La cosa mi stupisce, perché a Bergamo tutte le copie dei libri d'esame della provincia sono praticamente introvabili tre giorni prima dell'appello, comunque esco dalla biblioteca coi libri in mano e penso: "Eh che ccculo! " (perdonate il francesismo)

Domenica: due giorni all'ora x

 l'ansia sale e dico a Dimitri davanti a un bicchierino di vino e a un po' di pane con lonza che per ogni prova che sosterrò all'università, ci sarà una scusa adeguata per cui mi sentirò agitata. La scusa di questa è che è il primo esame.

Lunedì: un giorno all'ora x. Allerta massima

è sera. Vorrei dirvi che ho passato tutto il giorno a ripassare, ma mentirei. Ho passato forse un'ora a sfogliare svogliatamente il quaderno in cerca delle ultime cose, quelle che mi sono rifiutata per due mesi di ricontrollare, tipo l'insieme di varietà romanze rumene. Non che pensi che la lingua rumena non sia importante, lungi da me, ma perché non si collegava nulla del resto del discorso a quel tema e delle cose isolate io non so che farmene. Comunque, non è un ripasso intensivo, guardo il quaderno e poi uh, un uccellino, no, stai attenta a quello che leggi, ehi Cora, ciao, vieni a sdraiarti qui vicino, oh aspetta che chiamo Marta che è un po' che non la sento. Arrivano le sette e in ogni caso quello che c'era da rivedere era rivisto. Preparo il mio zainetto arancione: i tre libri da riportare in biblioteca in caso di riuscita dell'esame, l'astuccio, il portafoglio con dentro la tessera universitaria, una merendina per i momenti bui ("chissà quanto dovrai restare lì", penso facendo riaffiorare in mente quella volta che sono tornata a casa alle 9 di sera, dopo un esame all'unibg!). Controlliamo il meteo: sole. Bene, gli esami col sole mi piacciono, e poi voglio andare in uni in bici. Vado a letto e mi leggo quasi tutto un romanzo. Poi mi addormen......

Martedì: l'ora x

Mi sveglio a un'orario decente con i postumi di una sbornia mai avvenuta: barcollo e la testa mi gira. Mi raccomando, colazione leggera perché mi viene da vomitare. Mi vesto, arraffo le chiavi, scendo al primo piano, recupero la bici e parto. Sfreccio per il viale e sento la bici che fa dei sobbalzi ritmici; non ci faccio molto caso, in fondo sto passando su dei mattoncini di pietra, la ruota deve fare fatica sulle intersezioni. Sì, era molto plausibile come deduzione, se non fosse che 200 metri dopo passo su una zona pavimentata in marmo e io continuo a sobbalzare. Mi fermo, tocco la ruota anteriore ed è completamente a terra: "J'accuse!!" pronuncio ad alta voce, sentendomi una deficiente subito dopo, perché urlare parole apparentemente senza senso ferma a un semaforo qui a Trieste vuole solamente dire che sei uscita dal manicomio grazie alla Legge Basaglia. Ad ogni modo: "J'accuse!!", "Sabotage!!" qualcuno ha manipolato la bici, ah ma me la pagherete uno per uno dopo che sarò tornata dall'università, non so bene con che mezzo.
Arrivo alla sede con la mia bici sgangherata, grondante di sudore per lo sforzo doppio provocato dalla ruota piatta, chiedo dove si trova l'aula e apprendo che è al quarto piano. Mi sale la disperazione: salgo il primo piano con la lingua sotto i piedi e decido di prendere l'ascensore. Con un clangore si apre lugubre la porticina, io entro e cerco il tasto quattro; ma nessun tasto era presente, solo un telefono con cornetta appeso alla parete. Che diavoleria è questa? No no no no no, esco dall'ascensore e prendo le scale, non voglio morire in un ascensore arrugginito, piuttosto mi faccio esplodere il cuore. 112 scalini dopo arrivo all'aula e il paesaggio desertico davanti a me mi fa prospettare un esame veloce e indolore: solo 4 persone erano sedute a ripassare freneticamente. 
Ecco il prof, esattamente come me l'ero immaginato: alto, vecchio, con una faccia ovale, il nasone e gli occhialini. Scambia qualche battuta e dopo solo mezz'ora di attesa arriva il mio turno. 
Entro nel suo studio, pieno di libri e con un odore di studio medico, mi siedo e parto con l'argomento a piacere, mi interrompe sempre e non riesco a tenere il filo del discorso. "Signorina, ma perché in arabo al plurale pronuncia così?" "Lei che lingue ha studiato alla triennale, mi scusi?" "Ah quindi l'aspirata è da pronunciare?" "Ha studiato anche il tedesco?" e qui arriva la frase fatidica: "Signorina, ma Lei è un universo di lingue!" alla quale rispondo sorpresa: "Chi, io?" lo guardo con occhi dubbiosi di chi sta guardando una torta che forse non lieviterà mai e mi scappa un sorriso sotto i baffi. Nessuno mi aveva mai detto una frase del genere, ovviamente divento rossa e mi viene la faccia timida di Whoopi Goldberg che interpreta Celie nel film Il Colore Viola. 
Ma che sta dicendo questo pazzo, intende proprio me? Mi gonfio tutta all'interno, all'esterno la faccia col sorriso da imbecille permane mentre continuo a parlare. 
Insomma, 40 minuti dopo io me ne vado a casa con un 29 in saccoccia, la bici claudicante e una sensazione di orgoglio e soddisfazione raramente provata prima. Il prof mi saluta così: "Signorina, non le do 30 perché mi ha fatto morire Carlo Magno 115 anni dopo". No, niente frasi strappalacrime. Solo questo, che potremmo interpretare con: "Sono stata bravissima, ma devo ricordarmi che c'è ancora tanto da imparare".
Evvai!

lunedì 6 giugno 2016

Giorno 32- Tarocchi dal passato

Tarocchi dal passato

Oggi vorrei parlarvi di altre due vicine di casa, giusto per fare un po' la pettegola e per darvi un quadro quasi completo della gente che abita nel mio stesso palazzo. C'è da dire che sono le donne, quelle che mi interessano di più, anche se avrei molto da dire sul vecchietto che Demmy ha soccorso ubriaco marcio sdraiato sul suo pianerottolo....Comunque, dopo  La signora P. vi presento due belle signore, di circa 70 anni, che abitano l'una al terzo piano e l'altra al primo e che sono come cane e gatto, come il cappuccino con la pizza (gente tedesca, assimilate il concetto), come Renzi e la lingua inglese. Insomma, si odiano. Ed è del tutto comprensibile, perché sono completamente diverse: una è madre di famiglia, l'altra abita sola e ha un fidanzato che la raggiunge nei weekend che lei chiama "Il Friend". L'una è pacata e coi piedi per terra, l'altra è una sognatrice accanita, che gira per il mondo. Una fa la dolce mogliettina e l'altra legge i tarocchi di professione. Quando ho sentito quello che faceva ho dovuto trattenere una risata: lo so, sono cattiva, ma io 'sta cosa del destino scritto nelle carte non la concepisco proprio. Contando che ho passato una serata con questa signora ed è trasparita (senza riferimenti espliciti) la sua feroce antipatia verso la donnina del terzo piano (la matrona) potrei dire che io ho saputo leggere i tarocchi del passato, nel senso che inquadrando il tipo di persona che è lei, ho automaticamente inquadrato il tipo di donna che è l'altra e, sapendo che vivono qui entrambe da 40 anni, ho iniziato a farmi filmini mentali, su come queste due siano diventate nemiche.
Mi immagino una tutta acqua e sapone, un po' rompi balle, con due o forse tre figli che le girano intorno anche mentre fa pipì, con un marito che si spezza le ossa per portare a casa un bel gruzzolo e lei che si occupa della casa; questa un giorno sale le scale, che ai tempi erano ancora una passeggiata per lei da fare, e incrocia una hippie, con addosso accessori in pelle (che produceva lei!), collanine e sandaletti e che la salutava (o forse si sono sempre guardate in cagnesco?) con una voglia di vivere che rasentava l'impossibile e che non si sapeva bene quando, se, come e con chi sarebbe di nuovo tornata a casa. Chissà, un po' per invidia, un po' per incomprensioni banali, magari che riguardavano la vita condominiale e forse anche un po' per ragioni politiche (ma questo non lo posso sapere) queste due si sono ritrovate a detestarsi e quando le incontri hanno spesso da lamentarsi l'una dell'altra, senza però pronunciare il nome della rivale.
Io vorrei, fra 50 anni, trovarmi a metà tra le due: non essere né troppo rigida, né troppo farfallona. Vorrei avere la stessa stabilità della signora del terzo piano, ma anche la vitalità di quella del primo.
Una cosa categorica, però ve la chiedo: se inizio a leggere i tarocchi e/o a sfracellare i cocomeri giorno e notte prendetemi a sberle! Sia chiaro, mi piacerebbe poter acquisire le qualità delle due, ma con i difetti non vorrei avere nulla a che fare; sarei una bomba a tempo!
Ad ogni modo queste due signore mi piacciono assai, anche se una delle due mi è leggermente più simpatica dell'altra; no non vi dirò quale delle due preferisco, d'altronde io e Demmy veniamo coccolati da entrambe, quindi dobbiamo essere carini e doppiogiochisti!