Garfield - Pooky
Mi sono trasferita da Bergamo a Trieste, lasciando la mia famiglia e la me-bambina. Purtroppo la me-combinaguai mi ha seguita e ogni tanto devo farci i conti e ammettere che è la parte di me che preferisco perché mi fa sempre parecchio ridere.

domenica 12 giugno 2016

Giorno 33- Un universo di lingue

Un universo di lingue

Martedì ho dato il mio primo esame all'università nuova, quella di Trieste. Era un esame relativamente piccolo da soli 6 crediti di filologia romanza (materia che tra l'altro mi piace molto) che io, dall'entusiasmo, ho iniziato a studiare due mesi prima. 
Valeva tanto per me, quell'esame, non tanto per la media o per che altro, ma perché era il primo esame che sostenevo mentre lavoravo 8 ore al giorno quasi tutti i giorni e avevo paura di fallire e di confermare la teoria un po' cliché che se lavori non hai troppo tempo per studiare. 

Sabato: tre giorni all'ora x

Inizia sabato ad arrivarmi l'angoscia, continuo a pensare all'esame e ogni impegno che ho lo rapporto a quella data; un esempio: venerdì prossimo mi scade il libro in biblioteca, devo riconsegnarlo, dài che quel giorno l'esame sarà passato. Vado per la seconda volta a  recuperare i libri già studiati in biblioteca, per non arrivare a mani vuote davanti al prof e con mia sorpresa nessuno li aveva prenotati a parte me. La cosa mi stupisce, perché a Bergamo tutte le copie dei libri d'esame della provincia sono praticamente introvabili tre giorni prima dell'appello, comunque esco dalla biblioteca coi libri in mano e penso: "Eh che ccculo! " (perdonate il francesismo)

Domenica: due giorni all'ora x

 l'ansia sale e dico a Dimitri davanti a un bicchierino di vino e a un po' di pane con lonza che per ogni prova che sosterrò all'università, ci sarà una scusa adeguata per cui mi sentirò agitata. La scusa di questa è che è il primo esame.

Lunedì: un giorno all'ora x. Allerta massima

è sera. Vorrei dirvi che ho passato tutto il giorno a ripassare, ma mentirei. Ho passato forse un'ora a sfogliare svogliatamente il quaderno in cerca delle ultime cose, quelle che mi sono rifiutata per due mesi di ricontrollare, tipo l'insieme di varietà romanze rumene. Non che pensi che la lingua rumena non sia importante, lungi da me, ma perché non si collegava nulla del resto del discorso a quel tema e delle cose isolate io non so che farmene. Comunque, non è un ripasso intensivo, guardo il quaderno e poi uh, un uccellino, no, stai attenta a quello che leggi, ehi Cora, ciao, vieni a sdraiarti qui vicino, oh aspetta che chiamo Marta che è un po' che non la sento. Arrivano le sette e in ogni caso quello che c'era da rivedere era rivisto. Preparo il mio zainetto arancione: i tre libri da riportare in biblioteca in caso di riuscita dell'esame, l'astuccio, il portafoglio con dentro la tessera universitaria, una merendina per i momenti bui ("chissà quanto dovrai restare lì", penso facendo riaffiorare in mente quella volta che sono tornata a casa alle 9 di sera, dopo un esame all'unibg!). Controlliamo il meteo: sole. Bene, gli esami col sole mi piacciono, e poi voglio andare in uni in bici. Vado a letto e mi leggo quasi tutto un romanzo. Poi mi addormen......

Martedì: l'ora x

Mi sveglio a un'orario decente con i postumi di una sbornia mai avvenuta: barcollo e la testa mi gira. Mi raccomando, colazione leggera perché mi viene da vomitare. Mi vesto, arraffo le chiavi, scendo al primo piano, recupero la bici e parto. Sfreccio per il viale e sento la bici che fa dei sobbalzi ritmici; non ci faccio molto caso, in fondo sto passando su dei mattoncini di pietra, la ruota deve fare fatica sulle intersezioni. Sì, era molto plausibile come deduzione, se non fosse che 200 metri dopo passo su una zona pavimentata in marmo e io continuo a sobbalzare. Mi fermo, tocco la ruota anteriore ed è completamente a terra: "J'accuse!!" pronuncio ad alta voce, sentendomi una deficiente subito dopo, perché urlare parole apparentemente senza senso ferma a un semaforo qui a Trieste vuole solamente dire che sei uscita dal manicomio grazie alla Legge Basaglia. Ad ogni modo: "J'accuse!!", "Sabotage!!" qualcuno ha manipolato la bici, ah ma me la pagherete uno per uno dopo che sarò tornata dall'università, non so bene con che mezzo.
Arrivo alla sede con la mia bici sgangherata, grondante di sudore per lo sforzo doppio provocato dalla ruota piatta, chiedo dove si trova l'aula e apprendo che è al quarto piano. Mi sale la disperazione: salgo il primo piano con la lingua sotto i piedi e decido di prendere l'ascensore. Con un clangore si apre lugubre la porticina, io entro e cerco il tasto quattro; ma nessun tasto era presente, solo un telefono con cornetta appeso alla parete. Che diavoleria è questa? No no no no no, esco dall'ascensore e prendo le scale, non voglio morire in un ascensore arrugginito, piuttosto mi faccio esplodere il cuore. 112 scalini dopo arrivo all'aula e il paesaggio desertico davanti a me mi fa prospettare un esame veloce e indolore: solo 4 persone erano sedute a ripassare freneticamente. 
Ecco il prof, esattamente come me l'ero immaginato: alto, vecchio, con una faccia ovale, il nasone e gli occhialini. Scambia qualche battuta e dopo solo mezz'ora di attesa arriva il mio turno. 
Entro nel suo studio, pieno di libri e con un odore di studio medico, mi siedo e parto con l'argomento a piacere, mi interrompe sempre e non riesco a tenere il filo del discorso. "Signorina, ma perché in arabo al plurale pronuncia così?" "Lei che lingue ha studiato alla triennale, mi scusi?" "Ah quindi l'aspirata è da pronunciare?" "Ha studiato anche il tedesco?" e qui arriva la frase fatidica: "Signorina, ma Lei è un universo di lingue!" alla quale rispondo sorpresa: "Chi, io?" lo guardo con occhi dubbiosi di chi sta guardando una torta che forse non lieviterà mai e mi scappa un sorriso sotto i baffi. Nessuno mi aveva mai detto una frase del genere, ovviamente divento rossa e mi viene la faccia timida di Whoopi Goldberg che interpreta Celie nel film Il Colore Viola. 
Ma che sta dicendo questo pazzo, intende proprio me? Mi gonfio tutta all'interno, all'esterno la faccia col sorriso da imbecille permane mentre continuo a parlare. 
Insomma, 40 minuti dopo io me ne vado a casa con un 29 in saccoccia, la bici claudicante e una sensazione di orgoglio e soddisfazione raramente provata prima. Il prof mi saluta così: "Signorina, non le do 30 perché mi ha fatto morire Carlo Magno 115 anni dopo". No, niente frasi strappalacrime. Solo questo, che potremmo interpretare con: "Sono stata bravissima, ma devo ricordarmi che c'è ancora tanto da imparare".
Evvai!

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