Garfield - Pooky
Mi sono trasferita da Bergamo a Trieste, lasciando la mia famiglia e la me-bambina. Purtroppo la me-combinaguai mi ha seguita e ogni tanto devo farci i conti e ammettere che è la parte di me che preferisco perché mi fa sempre parecchio ridere.

giovedì 14 settembre 2017

Giorno 54- Fratello Ranocchio

Fratello Ranocchio

Ai tempi in cui le papere ancora non si chiamavano papere, viveva un ranocchio. Era bello questo ranocchio, verde e bitorzoluto al punto giusto, con gli occhi a palla, più a palla di tutti gli altri rospi, viscido come la gelatina per crostate di frutta.
Era la bestia più rispettata dello stagno: le altre rane gli davano il cinque (o il tre? Quante dita ha una zampa di rana?) quando passava, le lucciole lo scortavano durante il suo regale pasto notturno e alcune ci lasciavano pure la pelle perché lui ne andava ghiotto, e le ciabatte col becco (le odierne papere, nda) cantavano per lui quando aveva un appuntamento galante con una rospetta verrucosa.
La sua vita era perfetta! Aveva amici, una bella casa, la luna a cui gracidare il proprio amore e il sole che lo riscaldava. Ma...le belle cose non durano mai troppo a lungo, giusto? Un pomeriggio piovoso di ottobre, quando tutti gli animali dello stagno avevano il loro bel da fare per prepararsi alle piogge più insistenti di novembre, il nostro ranocchio si sollazzava come d'abitudine in compagnia di qualche amico rospo, quando l'allarme anti-uomo suonò: queeeeeek, queeek, faceva l'allarme. Tutti ai ripari, correte! L'uomo si avvicina, nessuno è mai tornato per raccontare cosa succede, ma si narrano cose brutte, Queeek. Il rospo sapeva bene come muoversi, ma il suo amico Gerolfo, che aveva bevuto un po' troppa rugiada ed era decisamente alticcio, barcollava in stato confusionale, con ancora tra le zampe un calice mezzo pieno. Ranocchio non poteva lasciare il suo amico lì, oh no, lo avrebbero preso e chissà cosa gli avrebbero mai fatto. Brr non voleva nemmeno pensarci. Intravide delle alte figure stagliarsi contro il cielo al tramonto, avvicinarsi a passi pesanti a Gerolfo, rovesciando i tavolini di ninfea  e distruggendo le tane intorno allo stagno. Ranocchio saltò come non aveva mai fatto e riuscì a spingere il suo amico in un cespuglio, con una zampata stile karate. Ora bisognava mettere in salvo la propria pelle; non aveva fatto ancora il primo salto per mettersi in salvo, che una grossa rete lo avvolse, fu sollevato da terra e per quanto cercò di divincolarsi, le maglie lo tenevano stretto: la fuga era impossibile. Si girò stremato e vide un enorme viso, con due giganteschi occhi che lo guardavano: <<Ehi, Jim!>> gridò quel faccione umano, <<questo è l'ultimo, guarda come è combattivo! Ora andiamo, la serata sta per iniziare>>. Il nostro Ranocchio prese un tale spavento nel vedere quella bocca gigantesca muoversi ed emettere suoni così forti e terribili, che svenne.

Riprese conoscenza solamente quando un grosso gambero rosso cominciò a schiaffeggiarlo con le sue grosse chele: <<Ehi, amico, sveglia! Fra poco vai in scena!>> <<Sc-scena?>>. Si guardò intorno. Era con le zampe legate, su un piano in acciaio, alla sua destra una parete piena di coltelli e a sinistra (che orrore!) un pentolone che schizzava olio bollente sfrigolava sul fuoco alla massima potenza. Dove diavolo era? E che diavolo ne sarebbe stato di lui?
Ora, le rane non sanno certo leggere, però non sono animali stupidi. Vi lascio solo immaginare di che colore diventò il povero Ranocchio quando vide il cartellone colorato con delle rane impanate, infilate in spiedi, a mezz'aria nelle mani di umani, che le guardavano con una voracità degna di un lupo che scorge un agnello tutto solo nel prato. Doveva uscire di lì, santa libellula! <<Gambero, yuhu, gambero, dico a te! Fammi uscire di qui, ti prego>> <<Bah, e dove vuoi andare, zampelunghe? Siamo destinati a questo, è tutta la vita che ci preparano, giù all'allevamento, a finire con onore in padella. Curioso, vero? Non sai nemmeno chi è tua madre tra quella sfilza di gamberone ammassate, ma sai che morirai in modo onorevole!>> <<Ma quale allevamento?>> Protestò la rana, <<Io vengo dallo stagno, non voglio morire con onore, voglio vivere e tornare dai miei amici>> Il gamberone trasalì: <<Non sei un capo da allevamento? Ma allora non dovresti stare qui, fratello, che aspetti, salta fuori da quella finestra, ragazzo, coraggio! Riprenditi la tua casa, i tuoi diritti, vai fratello!>> il Ranocchio lo guardò stranito: <<Eh-ehm, scapperei volentieri "fratello", ma sai come è, ho le zampe legate. Se potessi darmi un aiutino e liberarmi, forse...>> <<Sì sì sì, nessun problema. Ma come? Ci vorrebbe qualcosa di tosto, ma tagliente, fammi pensare...>> così dicendo, l'animale passava le sue toste (!) e taglienti (!!) chele sulla sua testolina, grattandosi pensieroso.
Il ranocchio, sempre più stranito, roteò gli occhi e con un morso, afferrò una chela del gambero e si liberò da solo, poi prese in spalla il gamberone e saltò verso la finestrella sopra al lavandino. Quando uscì finalmente alla luce di una città per lui sconosciuta, lo spettacolo che gli si parò davanti fu sbalorditivo: tutto lo stagno era lì, con le armi tra i denti, pronto a salvare l'amatissimo Ranocchio. Al nostro amico si riempirono gli occhioni (già umidi per natura) di lacrime, mentre la allegra e insolita comitiva si allontanava da quell'ammasso di luci colorate e suoni assordanti, verso il suo ambiente perfetto, pieno di fango e insetti buoni da gustare.

E Gambero? Beh lui è stato accolto a braccia, ali e pinne aperte da tutti quanti allo stagno. E ovviamente era invitato a ogni festa del suo amico, salvatore e perché no fratello Ranocchio.

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